Tuesday, March 29, 2011
Tedeschini: "Fiat, non devi fa' l'americana!"
Altro che Parmalat: qui rischiamo di perdere la Fiat, con tutto quel che un’azienda come quella torinese significa in termini di quote del mercato mondiale (circa il 3% nell’auto, molto di più nei trattori e nelle macchine movimento terra) e soprattutto di ricerca, settore nel quale vantiamo ben pochi campioni nazionali. Eppure continuano a fioccare indiscrezioni sull’idea di Sergio Marchionne di spostare il quartier generale in quel di Detroit, nella sede del partner americano Chrysler: è stata la Reuters a rilanciare autorevolmente queste voci, smentite (ma senza troppa convinzione) dal Lingotto. Diciamolo subito: per l’Italia sarebbe una sconfitta storica, francamente incomprensibile. La Fiat è un pezzo di questo Stato che ha appena spento le sue prime 150 candeline, è l’azienda che ne ha accompagnato il boom economico con le sue utilitarie - che si chiamassero Topolino, 500 o Uno - ricevendone in cambio un forte sostegno. Perché mai dovrebbe emigrare? Quando la Renault ha acquisito la giapponese Nissan, nessuno è stato sfiorato dall’idea che la Regie potesse traslocare da Parigi a Tokyo. E mai la General Motors, nonostante le tante marche comprate in giro per il mondo, ha pensato di lasciare Detroit. Perché in questa tentazione dovrebbe cadere la Fiat? Questo sarebbe anzi il momento per insediare a Torino un gruppo di comando forte, che sappia dare il meglio dell’italianità (sissignore, anche in termini di creatività e design) nell’ambizioso piano di Marchionne di entrare tra i primi cinque costruttori al mondo. Che cosa osta a uno sviluppo così naturale? Forse solo il disprezzo che il capo della Fiat ha maturato nei confronti di tutto quanto sa di sindacato e di politica italiana. L’uomo del “senza se e senza ma” detesta gli arzigogoli delle nostre trattative e adora il pragmatismo americano. Una faccenda molto seria, ma non abbastanza seria da farci scivolare via l’unico costruttore che ci è rimasto, con Alfa Romeo, Lancia, Ferrari e Maserati al seguito. Pensiamoci, prima che sia tardi. E diamo anche a Marchionne uno straccio di motivo per amare questo disgraziato Paese.
(Fonte: http://qn.quotidiano.net - 27/3/2011)