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Sunday, March 20, 2011

Detroit e Torino, dall'auto al cinema


E Detroit venne a prendere lezioni di cinema a "Tollywood". Erano i giorni dolcemente autunnali del novembre 2010, quando nelle nebbie si cominciava a profilare la fusione Fiat-Chrysler e sul tavolo di Marchionne già s'intuiva sarebbe arrivata la querelle Mirafiori. Erano i giorni in cui la città mostrava la sua doppia faccia: da una parte le inquietudini per le sorti della mamma/fabbrica, dall'altra l'effervescenza degli eventi di Contemporary, la kermesse dell'arte contemporanea, intrecciata a quelli del Torino Film Festival (dove il biografo del rock Julian Temple, per un gioco del caso, presentava un film inchiesta proprio su Detroit). In quegli strani giorni a un gruppo di giornalisti in partenza per Biella dove Ricky Tognazzi stava girando la sua nuova commedia, capitò d'intercettare al Cineporto una comitiva dall'accento straniero (era dai tempi delle Olimpiadi che non si vedeva niente di così "esotico"), guidata dalla direttrice di View, Maria Elena Gutierrez, di madre lingua inglese. Erano i delegati della Motown, capitanati dal sindaco Dave Bing - già campione dei Pistons - sbarcati sotto la Mole per un "confronto tra città dell'auto" a cura di Torino Internazionale. "Rimasero stupiti e ammirati dal Cineporto, una struttura essenziale e funzionale - racconta il presidente di Film Comission, Steve Della Casa - forse si aspettavano una Cinecittà in miniatura". Fatto sta che gli americani visitarono, chiesero, annotarono. Con particolare attenzione. Come se avessero in mente un'idea. "Vollero sapere tutto: numeri, produzioni, servizi, location - spiega Della Casa - E noi raccontammo tutta l'esperienza decennale di Film Commission, legata a titoli noti anche oltreoceano come "La meglio gioventù" di Marco Tullio Giordana o "Il Divo" di Sorrentino". Il rinascimento cinematografico di Torino spiegato ai "cugini" americani, insegnato come un modello di riconversione post-industriale. All'insegna dello scambio di know how (voi ci insegnate a fare i SUV, noi le 500) prendeva forma sulla carta la sinergia Fiat-Chrysler. Un analogo scambio di competenze è avvenuto sul cinema e su come far nascere in una metropoli in declino un mercato del lavoro da decine di migliaia di occupati. Ora si scopre però che gli americani in visita alla cinecittà sabauda avevano già le idee ben chiare. Titolava l'altro giorno Le Monde: "Detroit imbocca la strada del cinema: la capitale del Michigan, culla disastrata dell'industria dell'auto americana, tenta di riconvertirsi come alternativa a Hollywood". Il reportage di Nathalie Brafman dà conto di nomi e numeri impressionanti: 300 milioni di dollari investiti nel 2010, 48 produzioni tra le quali "Le idi di marzo", il nuovo film da regista di George Clooney, e in arrivo Chris Nolan con il terzo capitolo della saga di "Batman". L'ex capitale U.S.A. dell'auto colpita da recessione sta insomma tentando, racconta Le Monde, una rinascita culturale riconvertendo le ex strutture industriali in studios e reinvestendo capitali nelle produzioni cinematografiche. Il primo è stato Clint Eastwood con "Gran Torino" (nome di uno storico modello Ford creato in onore della "Detroit d'Italia"), poi sono venuti Demi Moore, Richard Gere, Jack Nicholson, Scarlett Johansson... "Non pensavo fossero così avanti", ammette con un po' di stupore il presidente di Film Commission. Ma gli americani, si sa, nel business sono lesti. E c'è da considerare il volume globale dell'industria cinematografica U.S.A., con numeri che il cinema italiano - falciato dal ministro Bondi, per giunta - non si sogna nemmeno. Quella che ha raccontato Julian Temple nel bellissimo documentario "Requiem for Detroit?" è la storia di una metropoli-fantasma, uccisa dalla crisi economica, dal degrado sociale e urbanistico. Anche qui si sono vissute più volte la morte e la rinascita, sebbene le canzoni dei Subsonica non abbiano la rabbia desolata dei rap di Eminem. Le due ex Motor City, le Motown gemellate oggi in un piano industriale condiviso, procedono parallele anche nella riconversione sui set. "Tollywood" ha numeri più piccoli, ma ha alle spalle una storia. E forse non è soltanto sulla linea di produzione delle utilitarie che la città ha qualcosa da insegnare.
(Fonte: www.repubblica.it - 17/2/2011)