Saturday, December 4, 2010
Marchionne rivoluzionario come Mattei, ma (in Italia) non sa creare consenso
Perché Fiat ha lanciato l'ennesimo macigno nello stagno Italia? Perché Sergio Marchionne, l'amerikano, continua ad agitarsi, a scatenare polemiche, a fare l'antipatico invece che lisciare il pelo a destra e manca? Perché il Lingotto rovescia clamorosamente il tavolo delle trattative sul futuro di Mirafiori, ovvero sulla stessa esistenza di un baricentro produttivo per l'impero Fiat? Per orientarsi su una delle battaglie economiche più affascinanti degli ultimi anni, forse è il caso di partire da alcune cifre. Ecco le più importanti in sintesi: a Torino, Fiat vuol passare dalle 120 mila auto (da 12 mila euro l'una) prodotte nel 2010 a 250/280 mila da sfornare nel 2014 (da 25 mila euro l'una). Si tratterebbe di un raddoppio quantitativo e qualitativo poiché a Mirafiori fra un paio d'anni si fabbricherebbero Suv compatti con marchio Jeep e Alfa Romeo e la nuova berlina Alfa Romeo. Più della metà dei pezzi andrebbero esportati, buona parte negli Stati Uniti che resta il mercato più esigente e difficile al mondo. In 2/3 anni Fiat e Chrysler investirebbero a Torino un fiume di denaro: più di 1 miliardo di euro. Il più grosso investimento dal 1994. Cosa offre in cambio Marchionne? Aumenti del 20% netto delle paghe (fra i 3.500 e i 4.200 euro l'anno ovvero fra 250 e 300 euro netti in più al mese) grazie al terzo turno notturno e al sabato mensile di lavoro in straordinario. Cosa chiede in cambio Marchionne? Una riduzione dell'assenteismo e l'impegno a non scioperare durante gli straordinari. Se quest'ultima condizione fosse violata scatterebbero delle sanzioni contro il sindacato che indice l'agitazione. Ma la clausola più forte non è strettamente economica, è di "agibilità". Marchionne ha previsto che la nuova società che prevede di fondare assieme a Chrysler per la gestione della Nuova Mirafiori stia fuori dal sistema Confindustria. Quindi che abbia un suo contratto diverso da quello nazionale firmato fra Confindustria e i sindacati confederali. Ed è questo il nodo che ha fatto saltare il tavolo, nonostante fossero già state concordate 70 - settanta - pagine di accordo. In sintesi: Fim-Cisl e Uilm-Uil non hanno accettato di lasciare l'orbita Confindustria- Confederazioni. Qui entriamo sul terreno minato dei riflessi politico-sindacali della trattativa. E al momento si possono solo elencare una serie di elementi che fanno capire quanto sia difficile muoversi nella "Cristalleria Italia": 1) l'alta burocrazia confindustriale ha sempre visto con preoccupazione la richiesta di Marchionne di farsi il proprio contratto auto ma certo non può dare spago agli osservatori più maligni che parlano della nascita di un asse di fatto Confindustria-Fiom; 2) la Fiom, in difficoltà di fronte ai soldi offerti dalla Fiat e alla qualità delle vetture ipotizzate da Marchionne, aveva ammorbidito i toni ma - al momento - over gestire una scomoda alleanza con Fim e Uilm dopo averle accusate di eccessiva vicinanza all'azienda; 3) Fim e Uilm dopo aver accusato la Fiom d'essere un partito, le danno ragione; 4) la Cgil che nei giorni scorsi aveva fatto forti pressioni sulla Fiom affinché travasse un'intesa con Marchionne, si trova scavalacata a sinistra da Fim e Uilm (e Confindustria?) ; 5) Marchionne, che per una volta aveva presentato l'investimento a Torino senza suscitare alcuna polemica (e infatti i giornali ne avevano parlato pochissimo senza sottolinearne l'importanza per l'economia italiana) ora dovrà fronteggiare l'accusa d'essere inaffidabile e di voler portare tutta l'auto all'estero. Morale. Forse ha ragione quel professore universitario, grande estimatore del progetto marchioniano, che a margine dei convegni ripete ossessivamente la stessa considerazione: Marchionne ha la stoffa di un rivoluzionario come Mattei, però non ricorda che Mattei rompeva, sì, vecchi equilibri italiani, ma sapeva creare consenso. Molto consenso. In Italia, non in America.
(Fonte: www.ilmessaggero.it - 3/12/2010)











